- nove fotoincisioni dedicate ai cipressi della piana del Sarno, che evocano la dimensione geologica e memoriale del paesaggio vesuviano;
- un’installazione luminosa ispirata al carro cerimoniale rinvenuto a Civita Giuliana, con il celebre palindromo latino IN GIRUM IMUS NOCTE ET CONSUMIMUR IGNI, “Andiamo in tondo nella notte e siamo consumati dal fuoco”
- due lampade-scultura in forma di palme dorate, poste nel patio dell’Antiquarium, in dialogo con l’architettura della vicina Villa Regina.
Nella contigua sala al 1° piano è allestito il carro di Civita Giuliana rinvenuto nel 2021, il quale costituisce l’apice e il fulcro della mostra. Qui viene esposta una delle versioni della serie di opere di Wyn Evans intitolate IN GIRUM IMUS NOCTE ET CONSUMIMUR IGNI, 2025, sempre diverse per dimensioni e colore della luce, nelle loro varie iterazioni. Questa ulteriore versione prende le dimensioni dalle ruote del carro di Civita Giliana e assume il colore e la temperatura di 6500 Kelvin: ‘daylight’, ovvero luce del giorno.
L’artista commenta: “Il famoso palindromo latino (a cui fui introdotto dall’autore situazionista francese Guy Debord, che ne fede il titolo di un suo film) è variamente tradotto in inglese spesso come “Andiamo in tondo nella notte e siamo consumati dal fuoco”. Ricordando il ‘mito’, ancora e ancora l'Eterno Ritorno, l'infrastruttura temporale del trauma... è condannata alla ripetizione. Qui torniamo a un’opera ‘riciclata’ per essere reiterata a e su Pompei. Mi sono reso conto che l'opera ha trovato di fatto la sua casa, anche se sono tornato più volte su questa frase e ho realizzato, attraverso diverse iterazioni, opere con testo, immagini in movimento, neon, fuochi d'artificio… questa occasione di situare l'opera a Pompei porta con sé un significato e una pertinenza singolari non raggiunti in precedenza. L’opera ‘appartiene’ a Pompei. L’oscillazione sempre circolante, avanti e indietro, manifesta una singolarità come un ‘feedback’. Qui – in situ – corollario alle ruote immobilizzate del carro... veicolo fantasma, costellato di ciò che sopravvive all'erosione del tempo... come un'ulteriore fonte di luce da aggiungere alla squisita complessità delle ombre proiettate dall' armatura in Perspex nell’attuale display. Una cerimonia. Suona. Un epitaffio sospeso nel gas e nel vetro... con parenti in altri distretti del senso, come, ad esempio, la fotografia (un ritornello leggero). Un’interfaccia tra materia (artefatto materiale) e rappresentazione – il cardine su cui oscillano – l’‘attrito’ come contatto, il punto in cui ‘toccano’”.
A Boscoreale, l’opera diventa una ruota del tempo e la manifestazione dell’oscillazione perpetua e interconnessa di ogni materia, di ogni significato e di ogni rappresentazione.
La mostra comprende, infine, anche un passaggio più intimo che riporta la dimensione pubblica della mostra a una dimensione quasi domestica, in cui l’Antiquarium sembra prendere le sembianze e assecondare i comportamenti che avremmo potuto osservare nell’antica Villa romana accanto al museo.
Nel patio esterno che congiunge piano terra e 1° piano sono allestite due lampade della collezione dell’artista, oggetti di arredo moderno che riproducono i tronchi e le foglie di due palme dorate. Il riflesso luminoso delle loro silhouette metalliche si sparge lungo i muri perimetrali e accompagna con le sue vibrazioni le volute tracciate da alcuni pesci rossi nella vasca che, su un alto del patio, riproduce l’impluvium delle antiche domus. Chiudendo (o riaprendo?) il cerchio della mostra stessa, in questo angolo appartato e momento di quiete imprevista l’artista sembra cercare e far incontrare fra loro, come se fossero un’unica cosa luce e buio, istante e durata, presenza e assenza, storia e quotidianità, pubblico e privato, umano e non umano, come se l’Antiquarium e la Villa si fossero finalmente riuniti, e qualcuno ci stesse sussurrando, al contempo “benvenuti”, o “bentornati”?
Con la sua Trenodia di Pompei, Wyn Evans porta la propria storia e le proprie storie in quella e quelle di Pompei: un dialogo prezioso, o per meglio dire un “feedback” (per citare l’artista stesso), che rievoca e reincanta davvero lo spazio-tempo circolare pompeiano, il contesto dei suoi eterni ritorni, il suo sempre ritornante e sempre vivo percorso verso sé stesso. “Consumata dal fuoco” (come nell'antica eruzione evocata dai neon e dalle fotoincisioni contemporanei di Wyn Evans), Pompei è ancora qui, con i suoi carri e i suoi alberi, i suoi miti e la sua vita quotidiana, i suoi abitanti umani, animali, minerali e vegetali tutti eternamente insieme come compagni di uno stesso fato, qualcosa di spaventoso ma inevitabile, inquietante e onirico ma reale e rassicurante. E, quindi, alla fine, semplicemente giusto.
Due delle opere di Evans prodotte per la mostra – Pompeii Threnody (IN GIRUM IMUS NOCTE ET CONSUMIMUR IGNI) e Pompeii Threnody (The Ancient Cypress Trees of the Sarno Plain), 2025 – entrano a far parte della collezione di arte contemporanea del Parco Archeologico di Pompei (Collectio), aggiungendosi a quelle delle artiste e degli artisti Simone Fattal, Lara Favaretto, Invernomuto, Luisa Lambri, Anna Maria Maiolino, Anri Sala e Wael Shawky.
La mostra è stata supportata da Nicoletta Fiorucci Foundation.
Photo credits Amedeo Benestante. Courtesy Cerith Wyn Evans e Parco Archeologico di Pompei
INFORMAZIONI AL PUBBLICO
BIOGRAFIA ARTISTA
La pratica concettuale di Cerith Wyn Evans incorpora un’ampia varietà di media, spesso esplorando la relazione tra luce e testo, tra pensiero e significato per creare scenari in cui gli spettatori prendano consapevolezza della loro stessa presenza.
Le prime opere di Wyn Evans utilizzavano film e video, creando ambienti di “cinema espanso” che spesso comprendevano la collaborazione di performer. Dagli anni Novanta il suo lavoro esplora il rapporto tra linguaggio e spazio, tra temporalità e fenomenologia della percezione, caratterizzata quest’ultima dalla precisione e chiarezza formale con cui l’artista si relaziona al contesto di una particolare sede espositiva. Concatenazioni di riferimenti a testi, partiture e gesti sono evocati e intrecciati nella creazione di una vera e propria “mise en scene” complessiva. Le situazioni vengono costruite... le occasioni vengono messe in scena.
Per Wyn Evans, le installazioni funzionano come un catalizzatore: un serbatoio di potenziali significati che si dipanano in molteplici viaggi discorsivi. Inoltre, il suo lavoro ha un'estetica altamente raffinata in cui riverbera il suo costante interesse per l'architettura e la musica, per campi apparentemente disparati come la progettazione di fontane e il teatro tradizionale giapponese, la traduzione, l'astronomia, la psicoanalisi e il codice Morse. Le sue opere sfruttano il potenziale di un incontro "per suscitare fantasticheria". Oggetti ed esperienze sono giustapposti e disposti "in concerto" invitando a formulare e condividere molteplici riflessioni e interrogativi. Le mostre stesse sono pensate per occupare e promuovere "un'arena di contraddizioni, in cui desiderio e realtà si abbracciano".
Tra le mostre personali recenti: Centre Pompidou-Metz, Metz (2024); Espace Louis Vuitton, Tokyo; Sogetsu Kaikan, Tokyo; Taka Ishii Gallery, Tokyo; Marian Goodman, Parigi e New York (tutte 2023); Mostyn, Llandudno (2022); Aspen Art Museum, Aspen (2021); POLA Art Museum, Hakone; Galerie Buchholz, Cologne; White Cube Bermondsey, Londra (tutte 2020); Pirelli HangarBicocca, Milano (2019); Sogetsu Kaikan, Tokyo; Museo Tamayo, Città del Messico (entrambe 2018); Tate Britain Commission, Londra (2017); Marian Goodman, Parigi (2017); White Cube Bermondsey, Londra; Museion, Bolzano (entrambe 2015); Serpentine North Gallery, Londra (2014); TBA-21 Augarten, Vienna (2013); De La Warr Pavillion, Bexhill-on-Sea (2012); Kunsthall Bergen, Bergen (2011); Tramway, Glasgow (2009); Inverleith House, Edinburgh (2009); MUSAC, Leon (2008); Musée d’art moderne de la Ville de Paris, Parigi (2006) e Kunsthaus Graz, Graz (2005). Ha inoltre partecipato a importanti mostre collettive periodiche e Biennali, fra cui: Biennale di Venezia (2017, 2010, 2003), Skulptur Projekte Münster (2017); Moscow Biennial (2011); Aichi Triennale (2010); Yokohama Triennale (2008); Istanbul Biennial (2005).
Cerith Wyn Evans vive e lavora a Londra.
- La Villa rustica di Boscoreale (denominata Villa Regina dal nome di una limitrofa masseria ottocentesca, che anche l’architetto Le Corbusier schizzò in un suo disegno, realizzato durante un suo viaggio del 1911) ci immerge nell’organizzazione agricola dell’agro (ager) vesuviano, di cui questa villa costituisce uno delle testimonianze archeologiche meglio preservate. Scoperta nel 1977, scavata fino a riportarla completamente in vista e in parte ricostruita fra il 1978 e il 1980, la villa è circondata da un vigneto e da alcune strade che ancora recano i solchi di un antico carro da traporto (plaustrum). Dotata originariamente anche di un piano superiore, l’impianto originario della villa risale al I sec. A.C, anche se fu ampliata almeno due volte, nell’epoca augustea e giulio-claudia. La produzione di vino era l’attività principale di questa vera e propria fattoria, come documentano la vasca di pigiatura (calcatorium), i locali del torchio ligneo (torcular) e la cella vinaria con i suoi orci fittili infossati (dolia defossa).
- L’Antiquarium di Boscoreale
- Pompeii Commitment. Materie archeologiche
- contributi che articolano proposte e possibili linee di azione (Commitment)
- ricerche artistiche e curatoriali condotte a distanza e in situ (Digital Fellowship),
- testimonianze dal vivo e in tempo reale del personale del Parco (Fabulae),
- documenti storici (Historiae),
- il catalogo in divenire di un immaginario museo fondato sul patrimonio archeologico custodito nei depositi (Inventario),
- un’ipotetica biblioteca che unisca passato, presente e futuro (Biblioteca di Archeologia e Futurologia).
Contestualmente il programma prevede la commissione di nuove opere d’arte per la collezione in formazione di arte contemporanea del Parco Archeologico di Pompei (Collectio).
Tutti questi progetti corrispondono quindi a dipartimenti dedicati alla condivisione delle potenzialità espressive e conoscitive della “materia archeologica” pompeiana, rivolgendosi a tutte le tipologie di pubblico – anche quello che non visita fisicamente il Parco – approfondendo la definizione stessa di che cosa intendiamo per archeologia e per contemporaneità.
L’artista e il Parco Archeologico di Pompei desiderano ringraziare Nicoletta Fiorucci e Nicoletta Fiorucci Foundation per il generoso supporto alla mostra e al programma Pompeii Commitment. Materie archeologiche Pompeii - Parco Archeologico