Don Rafele 'o trumbone è una farsa tragi-comica napoletana in un atto scritta da Peppino De Filippo nel 1931.
Genere Teatro napoletano
Raffaele Chianese, compositore, maestro di trombone, vive in una casa-negozio di musica nella miseria più totale assieme alla moglie Amalia ed alla figlia Lisa: da due anni infatti è disoccupato, e tutto per il suo carattere visionario e refrattario a nuove visioni della vita che non siano le sue. Raffaele vive per la musica e non c'è verso di fargli cambiare idea: persino l'ultimo posto di lavoro offertogli dal suo migliore amico, il compare Giovanni, è stato da lui rifiutato.
Quel giorno è un giorno importante: Raffaele deve andare a suonare ad un matrimonio nel pomeriggio, dopo un ennesimo insuccesso alla Federazione, dove gli hanno detto che non c'è lavoro per lui. Sembra andare tutto bene fino a quando non entra con fare minaccioso Nicola Belfiore, concertista e collega di Raffaele, che gli porta una cattiva notizia: lo sposo è morto per una paralisi cardiaca. Il concertista, che da tempo aveva il sospetto che Raffaele abbia qualche sorta di potere che lo porta a portare sfortuna a chiunque gli capiti a tiro, vuole smetterla di fare affari con il trombone e gli dice che da quel giorno ognuno se ne andrà per la propria strada. In quel momento, entra il compare Giovanni raggiante: ha trovato un'offerta di lavoro per Raffaele. Un'offerta veramente da prendere al volo: vigilante del personale nel lanificio di proprietà di un commendatore suo amico. Raffaele fa una smorfia: per lui, è un lavoro da "spione", come lui stesso definisce.
Dopo che il compare gli ha spiegato in cosa consiste e le condizioni di stipendio, Raffaele ci pensa su: ha infatti in mente di andare, prendere lo stipendio d'anticipo che gli daranno al momento dell'assunzione e dileguarsi nel nulla. Al sentire questo, il compare se ne va. Prima però lo mette in guardia: se si farà sfuggire anche quest'occasione, lui non saprà più dove e a chi rivolgersi. Sembra che vada tutto per il meglio, quando ad un certo punto entrano in negozio alcune persone, molto ben vestite.
ALFREDO - Siete concertista?
RAFFAELE - Ho eseguito qualche concerto. L’ultimo l’ho dato tre anni fa al cinema teatro Diana. Quattromila posti. Un concorso di pubblico eccezionale. La sala era gremita in ogni ordine di posti. La galleria era zeppa. Troppo piena. Lo dissi al direttore: quella galleria è troppo carica. Infatti non feci in tempo a salire sul podio che la galleria mi crollò alle spalle! Una vera strage. 237 morti e 478 feriti tra gravi e leggeri. Il direttore del teatro fu processato per direttissima. Il proprietario del teatro si suicidò. La moglie del proprietario impazzì ed il figlio maggiore perdette la favella. Ora sto trattando per allestire un altro concerto. Spero di concludere. Certamente sarà un’altra…
NICOLA - (tra sé) Ecatombe!
RAFFAELE - (che ha sentito) …un’altra probabile manifestazione d’arte. Ma veniamo a noi. Di che tratta la vostra visita?
ALFREDO - Ecco, prima di dirvi ciò che desidero… voglio farvi un po’ la storia della mia vita! Caro Maestro, caro collega, io sono molto disgraziato!
RAFFAELE - (dopo breve pausa) C’è riunione, oggi!
ALFREDO - Anche voi?
RAFFAELE - Caro amico, in tema di disgraziati… posso dirvi che quando io sono nato… voi non eravate ancora nato… con me è nata la disgrazia! Del resto tutti gli artisti sono disgraziati. È un fatale destino! A proposito di disgraziati… (indicando Nicola) Presento l’amico mio…
NICOLA - (alzandosi e porgendo la mano ad Alfredo) Nicola Belfiore, concertista. Ben lieto. (poi, agli altri due) Fortunato! (prende la sedia e la porta accanto a Raffaele ma la sua sedia, essendo più bassa di tutte le altre, enormemente contrasta con quella molto alta di Raffaele)
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